AMANUENSI TRA DOLORI E DIAVOLI

Il termine ‘amanuense’ deriva dal latino “a manu servus” che indicava in origine lo schiavo deputato alla copiatura manuale di un testo. Tale attività di copiatura e trascrizione ebbe diffusione soprattutto all’interno dei monasteri, ove continuò a svilupparsi fino all’introduzione della stampa a caratteri mobili (i primi libri a a stampa compaiono solo dopo la metà del 1400).
Scrivere era il lavoro principale di alcuni monaci speciali: gli Amanuensi.

In un codice dell'VIII secolo, un copista scrive:
"Carissimo lettore, prendi il libro soltanto dopo esserti ben lavato le mani, gira i fogli con delicatezza, tieni lontano il dito dalla scrittura per non sciuparla. Chi non sa scrivere crede che non occorra alcuna fatica. E invece come è penosa l'arte dello scrivere: affatica gli occhi, spezza la schiena; tutte le membra fanno male! Tre dita scrivono, ma è l'intero corpo che soffre".
Come si può capire copiare un manoscritto era però un'operazione lunghissima, lenta e molto faticosa. I copisti si servivano di scrittoi e sgabelli non particolarmente comodi e copiavano dal modello che tenevano davanti o scrivevano sotto dettatura. Si scriveva all'interno di appositi "scriptorium", laboratori o stanze adibite unicamente alla copia e all'illustrazione dei libri.


 Immobili, per ore, nella stessa posizione, seduti al proprio banco all’interno dello scriptorium, i monaci amanuensi erano esonerati dalle preghiere della terza, della sesta e della nona ora per poter usufruire di tutta la luce possibile senza perdite di tempo.

Torturati dai crampi alle dita e dal freddo pungente in inverno, non è difficile carpire il significato delle frasi di ringraziamento che venivano riportate, al termine del lavoro, sull’ultima pagina del manoscritto
“L’approdo non è più gradito al marinaio di quanto non sia l’ultima riga del manoscritto allo stanco amanuense”
L’amanuense, inoltre, ringraziava spesso Dio o la Vergine Maria per averlo guidato fino alla conclusione dell’opera
“Laus tibi Christe quod liber explicit iste”
Ma nel silenzio e nel buio dello scriptorium si celavano diavoleschi pericoli.

Per giustificare (forse) gli errori dei copisti, nel medioevo si creò la figura di Titivillus, un demone ritenuto responsabile degli errori di copiatura dei monaci, errori che molte volte rendevano inutile il lavoro di giorni e giorni di trascrizioni.


Questo diavoletto induceva i monaci, secondo le fonti, a chiacchiere oziose e mormorii che alla lunga provocavano un errore di copiatura o una dimenticanza. Secondo alcuni autori inglesi, lo stesso Titivillus, parlando, ometteva parole o addirittura intere frasi.
Titivillus e San Bernardo di Mont-Joux.

Come se non bastasse, l’infernale creatura raccoglieva in un sacco tutte le lettere dimenticate o sbagliate dei monaci (insieme alle parole omesse o mal pronunciate all’interno delle funzioni religiose), per poterle poi usare contro di loro, come prova di negligenza, nel giorno del giudizio universale.



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